Sono dell'avviso che nel nostro Paese, oggi, sia in atto un processo magari poco visibile a uno sguardo esterno, ma comunque molto importante: sta maturando l'ideazione dell'ennesima fase della sua esistenza storica. Tale processo è poco legato alle ormai stanche ricerche di "un'idea nazionale", all'edificazione di un'ideologia unificatrice o ad attività analoghe.

La crescita del cristallo della consapevolezza popolare è un processo naturale per molti versi, poco regolabile e difficilmente adattabile a sforzi di organizzativi. Vi è la sensazione che quella pausa storica di 25 anni, durante la quale ci siamo trovati in mezzo alle tentazioni e agli inganni, stia volgendo al termine.

Il "ritorno alla civiltà" e la fiducia che come per magia la mano invisibile del mercato avrebbe fatto piovere su di noi la manna del cielo si sono trasformati nella coscienza del fatto che le cose, in verità, stavano esattamente al contrario. Sta divenendo palese che non siamo noi, ma è l'Occidente a essere finito in un vicolo cieco di civiltà (e noi con esso per un certo periodo stiamo stati sulla stessa barca) e che nessun mercato può sostituire la volontà nazionale e il pensiero politico e organizzativo.

Spunta un terreno su cui diventa possibile ai più svariati individui pensanti e aventi una sensibilità affinata (filosofi, uomini di religione, politici, scienziati, scrittori, pubblicisti, presentatori televisivi, commentatori etc.) parlare di significati, di idee, di mete che possano creare una base intellettuale per la progettazione della prossima mossa di valore storico nello sviluppo della Russia. Oggi, inoltre, vi sono molti che iniziano persino a sentire e a discutere con interesse questi significati e queste idee.

L'omelia del Patriarca

Un contributo rilevante per questo proceso di formazione di significati storici è stato portato recentemente dal Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Cirillo. Il 20 marzo 2016, nella prima settimana di Quaresima, nel celebrare la funzione nella cattedrale di Cristo Salvatore si è rivolto ai fedeli con un'omelia, con la quale il Patriarca ha esortato i credenti alla lotta contro la principale e globale eresia moderna: l'adorazione dell'uomo.

I diritti umani non possono essere al di sopra della parola di Dio, dice il Patriarca. Nel superamento di questo nuovo tipo di idolatria la Chiesa deve dirigere tutta la forza delle sue parole e dei suoi pensieri.

Tale eresia non è sorta nel grembo della Chiesa. Proprio all'inizio del secolo scorso Sergej Bulgakov analizzò in dettaglio la minaccia dell'antropoteismo nella sua opera "Religione dell'antropoteismo in L. Feuerbach". Cartesio con la sua formula del cogito ergo sum, Auguste Comte con l'idea dell'umanità unica e l'antropoteismo di Ludwig Feuerbach sono le fonti primarie, ma non le sole, dell'infezione suddetta. In realtà, questo complesso di concetti filosofici si muta in eresia solamente a causa della contagiosità su buona parte dei cristiani. Non è mio compito sottoporre ad analisi critica questo indirizzo di pensiero filosofico.

La cosa importante è un'altra: negli ultimi 300 anni queste idee vengono aggressivamente introdotte, è molto grande il volume della loro attuazione, e noi abbiamo la possibilità di osservare le conseguenze empiriche di tutto ciò. La realizzazione del principio "tutto è per l'uomo" e la liberazione di quest'ultimo dai doveri di fronte a Dio portano alla fine al culto delle qualità peggiori: l'egoismo, la discordia, l'irresponsabilità totale, il prosperare delle devianze e delle patologie più diverse, l'ambizione vuota e basata sul nulla, la passione per i piaceri, l'ossessione per il successo, ed è un elenco assolutamente parziale dei risultati della sostituzione di Dio con l'uomo.

Se l'uomo non procede sotto Dio, allora finisce immancabilmente sotto il diavolo. Il culto dell'uomo si rivolta nella degradazione e nella pervesione di esso, pure col rischio che tutto ciò possa condurre ad "eventi apocalittici", dice il Patriarca. Un corpo sociale fatto di persone con queste caratteristiche non si riproduce.

Penso si possa affermare in modo ancor più drastico che l'individuo non possieda alcun valore autonomo: al di fuori delle prove affidate a lui (all'umanità), la sua vita non ha alcun significato. Senza la missione attribuita e da lui accettata volontariamente per essere adempiuta, prima o poi ritorna alla condizione animale.

Ma allora qual è la linea da seguire?

L'appello ai limiti e ai significati estremi della nostra esistenza è inevitabile nel momento in cui rifiutiamo di seguire la corrente dell'umanesimo misantropico contemporaneo.

Qui forse è opportuno distinguere nel contenuto di tutte e tre le religioni abramitiche ciò che riguarda i principi della vita religiosa e che guida le persone sul cammino verso Dio da ciò che può essere imputato al lavoro di Dio nei confronti dell'uomo (dell'umanità) o della sua "missione", come si direbbe con parole più moderne.

Se nel Talmud, nei Comandamenti, nella Sharia i dettami su come vivere si leggono facilmente, è molto più difficile dare una risposta alle domande sullo scopo dell'uomo e sul compito per il quale è stato creato, e proprio di questo è interessante discutere.

In ogni religione si possono sicuramente trovare non pochi seguaci che si impuntano sul fatto che nel loro libro siano date tutte le risposte con esauriente completezza, e oltre a questo non rimane nulla da dire. Con costoro io non sono d'accordo: il testo sacro richiede anche sforzi di comprensione, il ricorso alla riflessione, la ricostruzione del contenuto. Bisogna pure essere in grado di vedere con chiarezza la rivelazione esposta nel libro, ancor più nel contesto di un'applicazione pratica: quale incarico che non si riduca alla mera sopravvivenza e riproduzione ci tocca prendere per riempire la nostra vita e la vita collettiva di significato e di sostanza più elevati? Su quale immagine d'uomo orientarci? La fede non può e non deve bloccare la ricerca di risposte a tali quesiti e il loro esame.

Mi accingo a esporre una certa versione sul contenuto di questa missione, una versione non canonica e certamente non scientifica, che cito qui al fine di illustrare un possibile tipo di ragionamento, nel quale dal senso estremo sul destino dell'uomo arriviamo alle disposizioni di principio e ai criteri guida di sviluppo per le pratiche sociali. Tra l'altro, questo ragionamento non viola il principio del "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". Sulla base di ciò che noi immaginiamo essere la missione dell'uomo, cambiano gli obiettivi di sviluppo nei vari settori di attività, di cui nessuna entità statale può fare a meno. L'uomo stesso rimane sempre libero di decidere quale strada percorrere e da quale parte stare.

E allora che cosa possiamo dire di noi, sulla scorta dei fatti noti e dei suggerimenti che ci sono stati dati?

Probabilmente, l'individuo è venuto al mondo come effetto di un qualche "innesto". L'evoluzione biologica ha raggiunto il suo completamento sui primati superiori. L'impulso allo sviluppo, inserito in essa fin dal principio, era a quel punto ormai esaurito. Come risultato di un determinato atto che oggi conosciamo poco, in uno dei tipi allora esistenti furono depositate delle altissime potenze: la capacità di amare, di pensare, di essere consapevole, di realizzare la propria volontà. Questo tipo biologico si rivelò un materiale adatto su cui stampare l'immagine di Dio e le Sue possibilità.

L'uomo porta dentro di sé fin dall'origine 2 ipostasi: quella divina e quella della natura. Tutti i conflitti e le peripezie del suo destino sono in effetti strettamente legati a questa dualità di principio. Alla domanda sul perché sia accaduto tutto ciò, si può rispondere assumendo come fondamento quanto dice la Bibbia. Se originariamente l'uomo era con Dio, allora possiamo pensare che all'inizio egli non avesse un corpo fisico. "A immagine e somiglianza" significa anche invisibile. L'incarnazione in un corpo fisico avvenne a seguito della provocazione di Lucifero, il quale insinuò nella famosa coppia la speranza che sarebbero diventati come dei, "conoscendo il bene e il male". Fare distinzione tra bene e male è appannaggio del Maligno, perché Dio è amore e in Lui non vi sono le vibrazioni del male. In fondo, Adamo ed Eva assaggiarono tutto ciò in quella mela data da Lucifero stesso, vennero da lui contaminati con lo spirito di indipendenza, di separazione, di gelosia: per questo furono cacciati. E non solo cacciati, ma espulsi con una modifica radicale del loro modo di vivere: diventarono mortali, divenne indispensabile per loro lavorare, finirono soggetti alle malattie, alle passioni e così via. In altre parole, acquisirono un corpo fisico sulla Terra.

Inoltre possiamo supporre che la materia medesima e persino l'evoluzione biologica siano il risultato degli esperimenti di Lucifero. Si sa che, nel cadere da Dio e nel concepire con superbia l'idea di sopravanzare il proprio Creatore, ed essendo l'entità più potente dopo Dio, anch'egli creò. Poi, grazie alla provocazione ben riuscita, trasse a sé una particella del suo Creatore, sperando di ottenere nel suo mondo il controllo totale su di essa.

Dio permette tutto ciò perché attraverso l'incarnazione nel mondo materiale di Lucifero della Sua creatura più amata, conta di spiritualizzare questa materia e di integrarla nel Suo universo, e di conseguenza rendere il mondo ancora più ricco di possibilità. Il piano di Lucifero si è ritrovato all'interno del piano di Dio.

L'uomo è chiamato a riparare al progetto di Lucifero: la sua missione è quella di far tornare la particella caduta nel grembo della Vita. In questo consiste il suo compito. Noi dobbiamo sconfiggere la morte, la polvere, le malattie con la forza della nostra luce, come esseri spirituali e portatori di luce; dobbiamo imparare a creare la materia, dobbiamo assoggettarla allo spirito che abbiamo dentro di noi.

Si comprende così la dura resistenza di Lucifero: noi minacciamo la sua creazione, perché l'uomo può levargli il terreno da sotto i piedi.

Un compito di principio

Se l'intento nei confronti dell'uomo è quello che abbiamo descritto qui, e al tempo stesso desideriamo esporci in favore del Padre Celete, allora da questo proposito consegue direttamente una certa impostazione nel progettare i principali sistemi di attività.

Dobbiamo aumentare le capacità vitali dell'individuo, invece di insistere nella sua meccanizzazione e robotizzazione: oggi tutto il sistema di istruzione è orientato nel trasformarlo in un essere frazionato, in una macchina, in una massa inerte.

Il nostro uomo deve saper cambiare e trasformare sé stesso grazie all'assimilazione dei metodi di pensiero e di azione e all'intensificazione delle capacità di guidare i sensi, i desideri e le percezioni. La sua opera riformatrice dell'esterno dovrà essere armoniosamente bilanciata con la disposizione del cambiamento interno, del rafforzamento e della realizzazione delle sue proprie potenzialità umane (e cioè divine).

Bisogna insegnare all'individuo a restaurare, rinnovare e persino a formare il proprio corpo. Il corso della medicina moderna, con la sua protesizzazione (anzitutto farmaceutica), i suoi microchip e la sua regolazione esterna dei processi corporei, è diretto invece dalla parte opposta.

Bisogna realizzare prodotti e merci che aumentino la vitalità dell'uomo, invece di concentrarci su tecnologie che abbassano la sua forza vitale generale.

La coltivazione di tali uomini dev'essere al centro della cura dello Stato e della società: solo allora uniremo l'antropocentrismo con l'opera divina.