Una conversazione interessante

La scorsa settimana il Presidente della Russia Vladimir Putin ha incontrato gli attivisti del Club dei Leader della promozione di iniziative di business. Uno dei partecipanti all’incontro, l’uomo d’affari Aleksandr Andreev, ha chiesto al Presidente di dare un nome all’idea nazionale, un’idea che possa motivare e unire tutti i cittadini a un livello di comunicazione interpersonale, come egli stesso ha detto, e avendoci riflettuto molto, dal suo punto di vista il messaggio dovrebbe consistere in questo:  nel Paese non ci sono estranei, siamo tutti impegnati sulla medesima opera e tutti dobbiamo lavorare a una Russia forte. Il Presidente si è dichiarato d’accordo con Aleksandr nella sostanza e ha detto che non vi è e non vi può essere nessun’altra idea all’infuori del patriottismo. Non conieremo un’altra idea, e non vi è nemmeno il bisogno di coniarla, perché c’è già — ha aggiunto il Presidente, il quale ha precisato che se vogliamo vivere meglio e se vogliamo rendere il Paese più gradevole per tutti i cittadini, occorre che siano più efficienti sia l’apparato statale sia il mondo del business; e allora, secondo il Presidente, ogni cittadino vivrà meglio, vi sarà maggiore benessere e sarà tutto più semplice. Ed è questa l’idea nazionale, ha dichiarato Putin.

In questo interessante scambio, io sottolineerei il seguente elemento di rilievo. Sia Andreev che Putin hanno tradotto la domanda sull’idea nazionale dal livello puramente mentale a quello vitale e sensibile. Andreev ha parlato, in pratica, dello spirito dell’impegno comune, del sentimento di comunanza, mentre Putin del patriottismo.

Effettivamente si possono fare affermazioni sul principio unificante come di una certa realtà solo nel momento in cui esso (il principio) esiste sul piano dei sensi. Noi proteggiamo i membri delle nostre famiglie non perché abbiamo una qualche idea di famiglia, ma perché siamo tutti letteralmente legati psicofisicamente l’uno all’altro. E difficilmente si può dare la vita alla Patria senza attaccamento e senza amore verso di essa.

Ma ciò non significa affatto che non vi possa essere un principio unificatore degli individui e che non possa essere espresso attraverso le parole. Sentimenti, i quali non siano fissati sul piano mentale, non sono stabili né duraturi, ma effimeri. È vero inoltre il contrario: le idee veramente forti sono esse stesse in grado di penetrare tutto l’essere di una persona, sono capaci di diventare vibrazioni della sua anima e del suo corpo.

Quando una persona ha capito e si è resa conto di qualcosa, quando è riuscita a a dirla e a sentirla, allora vi si crea un certo allineamento nello spirito, nell’anima e nel corpo, che inizia a determinare tutta la sua vita e le sue azioni. Perciò se diciamo “patriottismo” o “progetto comune”, non possiamo esimerci dall’impegno di illuminare noi stessi e il mondo sul significato di ciò che stiamo affermando. Che cosa difenderemo come la nostra stessa vita? Forse non vale veramente la pena di inventarsi nulla, ma è assolutamente necessario capire e rendersene consapevoli. Credo sia pienamente possibile e doveroso parlare della sostanza del patriottismo.

Quindi separerei nelle parole di Vladimir Putin ciò che ha un rapporto diretto con il principio vitale unificatore, senza il quale non possiamo sopravvivere, dai punti in cui parla degli slanci verso la grande prosperità e il benessere.

Queste ultime sono cose senza dubbio molto utili e belle, ma non consequenziali rispetto ai valori fondamentalmente indispensabili intorno ai quali ci uniamo. Per l’agiatezza e per un grande benessere nessuno è pronto a morire. E a noi serve in primo luogo mettere ordine in questa materia di importanza vitale, in quanto dobbiamo dar conto a noi stessi del fatto che già ci troviamo in una situazione di guerra di sterminio.

Che cosa difendiamo?

E allora, che cosa non dobbiamo concedere in nessuna circostanza?

Anzitutto il nostro territorio. Senza una propria terra ben assestata non si è stati mai e non si sarà mai nessuno e niente.

In secondo luogo non si può sopravvivere a questo mondo senza il proprio Stato. L’esperienza dell’Iraq, della Libia e dell’Ucraina ce lo mostra espressamente. Senza uno Stato su un territorio si instaura il caos sociale. Possiamo non amare i nostri governanti, ma occorre capire che per il momento non ne abbiamo di altri. Inoltre, non esistono nemmeno i burocrati come strato sociale isolato dal resto. I funzionari statali siamo noi stessi. Non ci sarà di aiuto nessun avvicendamento di posti, nessuna democrazia con le sue elezioni: vi sarà sempre lo stesso tipo di persone. Nell’incontro a cui abbiamo accennato il Presidente ha appunto cercato di spiegarlo a coloro che avevano da reclamare nei confronti di diversi responsabili di settore. Sia il territorio sia lo Stato sono, infatti, tradizionalmente oggetto del sentimento patriottico. Oggi, però, l’appello alla Patria dev’essere allargato: ci tocca difendere la nostra umanità come se fosse la nostra stessa vita.

Sul Titanic

Ciò che accade ora nel mondo non è una recessione, un’involuzione temporanea o l’ennesima crisi economica.

Il sistema capitalistico ha raggiunto i limiti della propria crescita. È ormai chiaro che i debiti non verranno saldati. La fiducia si allontana dal sistema. Dinanzi a noi c’è la crisi dei mancati pagamenti, della bancarotta, della disoccupazione di massa, del collasso del sistema pensionistico, della flessione multipla degli standard di vita della popolazione in tutti i Paesi avanzati e non. Il sistema sta ormai cominciando a cannibalizzare sé stesso: all’inizio sarà depredata l’Europa; noi saremo i prossimi.

In linea di principio ormai si capisce in che modo verrà conseguita la stabilizzazione. Democrazia e libertà saranno cancellate, gli individui saranno privati di coscienza e volontà e così di qualsiasi capacità di opporre resistenza a ciò che verrà fatto loro e che essi non noteranno neanche.

Nel sistema sociale che si va delineando già adesso, non sono previste persone che siano anche esseri vivi, consapevoli e pensanti: costoro rappresentano elementi esogeni. Ciascuno sarà soltanto il portatore disciplinato di una ristretta specifica funzione.

La conoscenza del modo in cui è costruito il corpo sociale sarà disponibile solamente a pochi soggetti, ma anche quest’ultimi col tempo la perderanno. Le persone si trasformeranno in formiche, la cui parte essenziale di funzioni gestionali sarà spostata su server esterni. Con questo obiettivo sono oggi costituiti sia il sistema educativo, che in fondo uccide le potenzialità creative degli individui, sia gli apparati delle grandi aziende, che tramutano gli individui in funzionari obbedienti, sia lo spazio mediatico, che riduce la persona esclusivamente ai modelli di comportamento consumista, e persino la medicina, che fa affari sull’alienazione della persona dalle sue funzioni psichiche e fisiologiche (ad esempio sostituendo con gli antibiotici il suo sistema immunitario e con gli psicofarmaci la sua capacità di regolare le emozioni). 

Su questo sfondo diventa sempre più evidente che nel mondo vi sono troppe persone, che non servono in un sistema orientato all’efficienza economica. Nei Paesi ricchi le persone vengono gradualmente abituate a pensare che sia normale essere superflui e non partecipare alla vita pubblica. Proprio qui sta l’essenza del reddito garantito, che probabilmente verrà approvato con il referendum del giugno 2016 in Svizzera. Si percepirà un reddito indipendentemente dalla propria attività.

Aggiungiamo solo: in questa fase. Dopo inevitabilmente sorgerà la questione della finalità della propria vita. A chi serve, a cosa serve?! Proprio oggi si fanno già i conti necessari: scrivono che la capienza dell’attuale sistema economico mondiale consta di circa 100 milioni di persone: di più non ne occorrono. Il “miliardo d’oro” esprime un ottimismo che appartiene già al passato.

Dunque la decisione verso la quale tenderà il sistema sarà quella di liquidare 7 miliardi di persone. Solo che adesso mancano ancora evidentemente le tecnologie per fare ciò in un modo ecologicamente sicuro per il pianeta, e non è stato effettuato un relativo lavoro preliminare. E in un cosa del genere, come si usa dire, non c’è niente di personale: sono solo le leggi del business.

Bisogna rendersi conto che stiamo navigando tutti insieme sul medesimo Titanic. Oggigiorno abbiamo di fatto i sistemi occidentali di istruzione, una medicina che cerca incessamente di commercializzarsi, così come i mass media, la pubblicità e di conseguenza l’universo ideologico. Siamo connessi al processo globale di disumanizzazione delle persone teso a convertirle in bio-robot.

In parole povere, siamo legati al processo di travolgente e mirata degradazione dell’uomo. Che cosa ci viene di buono dal territorio e dallo Stato se nemmeno ci accorgiamo che stiamo smettendo di essere uomini? Chiederemo noi stessi di inviarci manager dall’esterno che riporteranno un qualche ordine. Anche se, chiaramente, non sarà più il nostro ordine e non sarà fatto per noi.

Ritornare all’uomo

In condizioni di guerra contro noi non dichiarata, cadremo più velocemente di tutti. Per essere precisi, ci affonderanno prima di tutti gli altri: quindi dobbiamo essere svegli e afferrare le cose prima più rapidamente di tutti. Ci serve un piano di salvezza nazionale, non di sostituzione delle importazioni.

In una situazione in cui ci viene chiuso l’export, in cui bloccano l’import di tecnologie e di prodotti necessari e vitali, in cui ci sconnettono dal sistema finanziario mondiale, è inevitabile il ritorno a un’economia sovrana a pianificazione centrale. Sarebbe bene prepararsi a ciò subito e in fretta; ma come mi sono già sforzato di mostrare, sarebbe comunque poco. Dobbiamo conservare l’uomo: e in questo deve esservi una radicale differenziazione dall’economia pianificata che sussisteva in URSS.

Con la mente dobbiamo tornare a quel momento in cui si perdette l’uomo. Sembrerebbe sia accaduto nell’epoca del primo Illuminismo, quando in primo piano passò l’idea del progresso tecnico-scientifico, dello sviluppo industriale, dell’efficienza economica.

Il processo di produzione dell’uomo divenne in sostanza fortemente secondario; la comunità industriale e commerciale già allora iniziava a formare “un’ordinazione sociale” di qualità e capacità umane. La collettività nel suo complesso e l’intero sistema pubblico cominciarono ad evolversi senza più alcuna relazione con ciò che succedeva all’uomo e alle sue caratteristiche.

Attualmente, la gente è tenuta conformarsi alle necessità dei sistemi socio-produttivi (in URSS un tale approccio venne mantenuto senza alcune modifiche). La logica di questo processo era la seguente: le potenzialità creative degli individui, la loro stessa vitalità, la loro scintillante energia vitale non sono più richieste. Inoltre il numero stesso di persone su questo pianeta supera di molte volte la “portata contenitiva umana” del sistema creatosi.

La sfida che ci sta di fronte consiste in questo: dobbiamo rivoltare il principio fondamentale stesso dell’organizzazione del corpo sociale; dobbiamo far sì che esso sia nuovamente orientato sull’uomo. Non dev’essere l’individuo ad esistere per la produzione e il consumo, ma al contrario tutte le strutture produttive devono raggrupparsi e garantire il processo cardinale della comunità umana: il processo di produzione di individui sani, consapevoli, intelligenti e ricchi di immaginazione. Il compito è quello cioè di ricostruire in maniera radicale la struttura sociale nel suo complesso partendo da principi autenticamente umanitari.

La sostanza e le funzioni dell’istruzione, della sanità, dell’educazione fisica, dello sport e del turismo devono essere completamente riviste. È nostro compito elaborare una visione categoricamente diversa dell’occupazione e del lavoro. Dobbiamo vedere sotto una luce assolutamente differente il ruolo e la destinazione delle sfere relative alla progettazione, alla R&S, alle produzioni sperimentali e così via. Dobbiamo imparare a contare equilibri sferici e polisferici al posto dell’efficienza economica e del PIL. La concorrenza deve lasciare il posto alla comunicazione. Dobbiamo spostarci in una griglia di coordinate di civiltà completamente diversa. Per noi il vivere deve diventare interessante, avvincente e significativo.

È una sfida di civiltà al nostro modo di pensare e alla nostra inventiva socio-culturale. Una sfida alla nostra capacità di esaltarci con idee nuove e coraggiose. Una sfida alla nostra capacità di sentirci patrioti di questa ancora per noi sconosciuta, ma affascinante futura Madrepatria.

Il nostro Presidente, coloro che ci governano, e infine anche noi stessi sfuggiamo questo argomento in ogni modo. E si può capirne il perché: siamo storicamente allergici  alla progettualità, poiché sappiamo che gli schemi sono di solito la strada verso l’inferno. Conosciamo l’amaro prezzo degli ideali sociali. Sappiamo come vanno a finire i tentativi di forzare le persone alla felicità. Abbiamo già provato una volta a condurre forzatamente il Paese verso un futuro radioso. Qualunque schema di società ideale porta con sé grandi rischi di violenza verso coloro che per qualche motivo non possono o non vogliono rientrare in questo modello.

Ed è tutto giusto e giustificato. Effettivamente siamo tenuti a organizzare il nostro percorso in un modo assolutamente diverso, tenendo conto della nostra esperienza storica unica e in base ad essa: dobbiamo spingerci avanti su principi di non violenza, di volontarismo e di esperimenti locali. Occorre capire che gli ideali sociali non sono finalizzati ad una loro realizzazione totale e istantanea, ma sono nulla più che un complesso di riferimenti utili alla navigazione, proprio come le stelle: per orientarsi con le stelle non serve toccarle.

L’umanizzazione degli individui: il significato della grande Storia sta proprio in questo. Se la Russia non ritorna alla Storia, difficilmente qualcun altro tra gli europei lo potrà fare. Si vede che purtroppo solamente noi siamo in grado, in virtù di quanto già affrontato, di comprendere questo insieme di problemi. Non vorremmo che degli extraterrestri giunti sul nostro pianeta chiedessero: "ma come ha potuto questo Uomo fallire?"