Gli articoli di alcuni dei membri del club Zinoviev MIA "Rossiya Segodnya" su Ria.ru e, in particolare, il pezzo di Pavel Rodkin su "Il globalismo come nuova fase del monopolismo", in occasione del centenario dalla pubblicazione dell'opera di Lenin "Imperialismo, fase suprema del capitalismo", hanno esortato l'autore delle seguenti righe a proseguire nelle tematiche trattate, legate alla sostanza e alle prospettive dell'economia mondiale contemporanea.

Mi associo al pensiero di Pavel Rodkin, secondo il quale dopo un secolo l'opera suddetta non solo non ha perso la sua attualità, ma continua ad attirare l'attenzione dei ricercatori per la sua chiarezza metodologica. Questo accade, ritengo, non solamente perché l'unica alternativa al capitalismo messa in pratica — il cosiddetto "socialismo amministrativo" — si è nei fatti rivelata inefficace, ma anche perché finora non è stato ancora proposto un nuovo modello economico postcapitalistico.

E intanto, la necessità di un'autentica alternativa al capitalismo (cioè quell'edificio sociale in cui al vertice si trova l'accrescimento del denaro e non lo sviluppo della persona) si fa sempre più imperiosa anno dopo anno.

Il mistero primario del capitale pre-monopolistico

L'alternativa al capitalismo c'è già, solo che la stragrande maggioranza degli economisti e dei politici di oggi non la vede. Perché? Perché sia nella società che nella scienza economica moderna non esiste fino a questo momento una comprensione netta di quello che è il capitalismo.

Il marxismo, pretendendo di aver scoperto il segreto del capitalismo, la cui essenza sta nel capire il meccanismo di formazione del plusvalore come base di quel fenomeno chiamato CAPITALE (e da qui "capitalismo"), è talmente entrato nella testa di alcune generazioni di economisti russi e non russi sotto forma di schemi semplificati e di dogmatismi, da rappresentare fino ad oggi lo strumento principe di manipolazione volontaria o involontaria della coscienza sociale e di autoinganno.

Nel frattempo diventa sempre più evidente che Karl Marx, nei suoi famosi lavori, descrive il meccanismo di formazione del profitto nel processo produttivo-commerciale, ma non il meccanismo di formazione del capitale in quanto tale.

Onore e gloria a Marx per aver scoperto il meccanismo di sfruttamento dell'uomo sull'uomo nel processo di produzione industriale o di altro genere, e anche per lo sviluppo del paradigma materialistico in qualunque sia la ricerca effettuata. Insieme a questo, è noto da tempo che l'approfondimento fondamentale del meccanismo di formazione del plusvalore abbia al tempo stesso permesso a Marx e ai suoi seguaci di distogliere l'attenzione dell'attivista sociale di massa dalle domande legate al segreto della formazione e dell'incremento del capitale nel processo del suo movimento finanziario. (Cosa che corrisponderebbe, secondo molti esperti, agli interessi degli sponsor dell'autore del "Capitale").

Propriamente, il processo di trasformazione del profitto, ottenuto durante la vendita della merce fabbricata, in fenomeno autosufficiente è in grado a sua volta di generare profitto in ambiti non collegati con la produzione industriale o agricola, che è l'essenza del processo di formazione e di accrescimento del capitale.

In altre parole, il capitale si forma nella fase di trasformazione del profitto (come parte dell'introito ottenuto dal produttore) in sostanza autonoma che genera nuovi valori e nuovi profitti già durante il processo di circolazione dei mezzi finanziari veri e propri: è questo il segreto cardinale del capitale pre-monopolistico.

Purtroppo anche oggi, nel XXI secolo, i tentativi di portare questo segreto in una grande discussione pubblica sono considerati di cattivo gusto, non vedendo nemmeno il fatto che sullo sfondo della formazione di un potere finanziario autosufficiente di livello nazionale avvengono almeno due processi fondamentali, i quali bilanciano sia la scoperta di Marx del meccanismo di conseguimento di plusvalore, sia la sua formula di trasformazione del profitto in capitale, sia infine il modello di sfruttamento del semplice operaio.

Anzitutto, i principali sovrapprofitti oggigiorno si raggiungono non nelle sfere della produzione o persino del commercio (almeno finché tali sfere sono differenziate, e cioè concorrenti, cosa che porta all'abbassamento dei prezzi, ad esempio sul mercato petrolifero). Si formano bensì nella sfera della gestione della proprietà e delle finanzie, dove la concorrenza — grazie all'altissimo livello di monopolizzazione del sistema di direzione finanziaria — è pressoché assente. Ed ecco che è impossibile definire seriamente come concorrenti per esempio il dollaro e l'euro, se entrambe queste valute sono controllate dal medesimo gruppo di banche.

È da qui che proviene quindi anche il marging centralizzato (arbitrario) gestito dai monopolisti in qualunque sfera — dal commercio di diamanti alla produzione di alcuni tipi di armamenti.

In secondo luogo, il processo di "sfruttamento dell'uomo sull'uomo" (oppure lo sfruttamento da parte di determinati datori di lavoro nei confronti dei determinati lavoratori dipendenti) si è da lungo tempo evoluto in un processo di sfruttamento da parte di anonimi detentori di multinazionali leader su tutto il resto dell'umanità.

Caso esemplificativo è il seguente: se in una qualche azienda operano oggi soltanto robot e dispositivi automatici, e considerando che ogni manager è anche comproprietario (azionista) dell'azienda stessa, quale sarà allora lo sfruttato e quale lo sfruttatore in senso stretto? Intendiamo, se non si entra nel merito dell'economia globale.

La suddivisione internazionale del lavoro oggi è tale che lo sfruttamento non conosce più delimitazioni o legami di territorio, di settore o di qualunque altro genere: non sono più tanto particolari gruppi sociali che finiscono per essere sfruttati, ma determinate nazioni, interi popoli e persino civiltà. Ne è dimostrazione l'Ucraina, in cui il volgo inferocito abbatte i monumenti a Lenin invece di leggere le sue opere, nelle quali la guida del proletariato mondiale previde, ad esempio, come l'FMI avrebbe completamente spogliato nazioni di nuovi schiavi, preventivamente ridotte allo stato di idiozia di massa, come in Ucraina, e avrebbe fatto pungolare tali nazioni da manager stipendiati sul tipo di Porošenko e Jacenjuk.

In terzo luogo, in condizioni di sovrapproduzione di merci il capitale come sostanza autonoma fonda ed estende il campo dei servizi, che sorgono spesso solo per creare nuove sfere di accelerazione della circolazione del denaro (sul modello della trasmissione di questo in regime on-line) e di conseguimento in tal modo di surplus su servizi sempre nuovi, soprattutto su quelli finanziari e d'informazione.

L'attuale struttura dell'economia mondiale predetermina la sempre maggiore dipendenza del settore produttivo dai settori di gestione e di servizi. Conseguentemente, gli Stati e le collettività al comando (l'Occidente) ricavano vantaggi colossali sugli Stati che producono.

Il mistero primario del capitalismo del XXI secolo

Nel novero dei soggetti sfruttati è finita anche la Russia contemporanea.

Credo che proprio nel contesto della presa di consapevolezza da parte delle élite dominanti della nuova realtà si debba leggere, in particolare, l'intervento del direttore di Sberbank Russia German Gref al recente Forum Gaidar presso il RANEPA. Il suo discorso sulla Russia come Stato-downshifter non è l'ammutinamento di un top manager dell'economia nazionale verso il potere in Russia: è l'ammutinamento di un manager regionale dell'economia mondiale nei confronti dei padroni transnazionali, che si può riassumere con: "ci hanno truffato".

Alla Russia avevano in qualche maniera promesso che sarebbe rientrata nell'elenco se non degli sfruttatori della maggioranza mondiale, almeno in quello degli utilizzatori e dei beneficiari dell'economia globale, ma poi l'hanno comunque "fregata". Le sanzioni economiche contro la Russia hanno dimostrato quale sia il suo vero posto.

E così può essere interessata ora la Russia a rafforzare il sistema mondiale del capitalismo? Ben inteso, no. Può permettersi di diventare periferica, cioè diventare una parte sfruttata dell'Occidente? No, neanche qui. Allora può essere possibile un "capitalismo sovrano" in Russia? In forza dei processi della crescente globalizzazione del capitalismo, la risposta è no e ancora no. Quindi anno dopo anno di che cosa dibattono i partecipanti al Forum Gaidar?

Timofey Sergeytsev, un altro collega nel club Zinoviev dell'autore di queste righe, nell'articolo su Ria.ru "Possiamo ricostituire il capitale industriale?" asserisce che le risorse vengono estratte grazie alle moderne tecniche neocoloniali, e tolte anche a noi. Perciò è così importante nella ideologia neoliberale il blocco di elementi che provano che noi dobbiamo stare con l'Occidente. In effetti è proprio questo il blocco di elementi di prova che viene discusso già da anni ai Forum Gaidar.

Per fortuna in altri convegni russi di economia vengono esaminate altre cose, essenzialmente diverse.

Anzitutto come conservare e poi aumentare gli attivi industriali russi, finché non diventano per intero multinazionali privatizzate o non sono decapitalizzati. Poi come garantire competitività all'economia russa, senza fiaccare le sue tradizionali priorità nazionali (ad esempio quelle sociali). Infine se è possibile l'affermazione in Russia di un "non-capitalismo sovrano".

Ed ecco che effettivamente quest'ultima (anche se oggi soltanto in via teorica) è pienamente possibile. Tra l'altro il discorso non verte qui sul ripristino del "socialismo amministrativo" come ordinamento nel quale viene nazionalizzato il sistema di suddivisione del lavoro, delle risorse e dei prodotti da fabbricare. Si deve parlare, piuttosto, di un ordinamento tale per cui siano caratteristiche altre priorità, diverse da quelle del capitalismo moderno.

Non il globalismo e il monopolismo, ma la concorrenza di soggetti sovrani (statali e di civiltà) dell'economia mondiale.

La priorità non deve stare nel capitale finanziario, ma nelle attività produttive.

Non la suddivisione dei prodotti da fabbricare con la partecipazione di uno Stato-burocrazia, ma un'efficace distribuzione delle attività produttive con la partecipazione di organi nazionali di gestione.

La titolarità diretta dei cittadini (attraverso diverse forme non statali di proprietà) sulle attività strategiche del Paese o dei gruppi di Paesi, etc.

Ancora un membro del club Zinoviev, Iskander Valitov, nel suo articolo "Economia russa e petrolio: è l'ora di uscire dal percorso già tracciato" scrive che la Russia deve prendere coraggio e decidersi ad avere una sua economia.

Da molto tempo ormai non esiste quell'economia che aveva descritto Marx e che è stata varie volte riscritta in versioni differenti da economisti famosi, sostiene Valitov. Effettivamente (qui lo ripeto) il XXI secolo presuppone una natura del capitale che sia in linea di principio nuova rispetto a quella di cui scrisse Marx.

La cosa importante di questa nuova natura è la circostanza per la quale il valore d'uso e il plusvalore dei prodotti di maggior rilievo vengano stabiliti non più dal libero mercato, ma dai detentori del quasi-mercato globale: monopolizzato, politicamente "giustificato" e fornito di informazioni.

Ecco il principale segreto del capitalismo del XXI secolo, diventato ormai da molto un segreto di Pulcinella.

Occorre partire da qui, discutendo sul presente capitalista della Russia e sul suo possibile futuro post-capitalista.