Nel 1916 venne alla luce l'opera di V. I. Lenin, poi divenuta un classico, "Imperialismo, fase suprema del capitalismo". La Russia si è affrettata a proclamare che l'eredità intellettuale marxista-leninista non è più valida e come minimo non più attinente ai tempi che corrono, ma il centenario di "Imperialismo" ci permette di rileggere in modo nuovo questo testo, che reputo ingiustamente dimenticato.

Il Lenin ricercatore era straordinariamente meticoloso: l'opera contiene infatti un grande volume di dati statistici e materiali, che oggi sono obiettivamente invecchiati e non attuali, come d'altronde è invecchiata la furiosa polemica con Karl Kautsky; tuttavia le conclusioni che trae Lenin non hanno perso la propria attualità politica. Di fatto, "Imperialismo" rappresenta uno degli studi chiave per la comprensione, ad esempio, di fenomeni come la globalizzazione, le multinazionali (anche se Lenin, operando con il linguaggio del suo tempo, non utilizza questi termini) e l'imperialismo contemporaneo.

L'invisibile mutazione del capitalismo

La formazione di monopoli che eliminano la libera concorrenza: è questo il risultato logico dello sviluppo del capitalismo ed è anche una delle sue contraddizioni di base. L'attraente vetrina della concorrenza del vecchio capitalismo, che ai tempi di Marx sembrava una legge di natura, già all'inizio del ХХ secolo fu sottoposta da Lenin a una critica risoluta.

Nell'era dei consumi, il monopolismo è nascosto efficacemente dai brand, la cui abbondanza e varietà crea un'apparenza di concorrenza. Ma in verità tutti questi marchi appartengono a un numero ristretto di proprietari, i cui potenziali concorrenti e le elaborazioni promettenti sono ormai scesi a livello di startup. Tutto ciò è descritto da Lenin: La concorrenza si trasforma in monopolio. Ne risulta un immenso processo di socializzazione della produzione. In particolare si socializza il processo dei miglioramenti e delle invenzioni tecniche…. I mezzi di produzione collettivi restano proprietà privata di un numero limitato di soggetti (qui e dopo cit.: Lenin V. I. "Imperialismo, fase suprema del capitalismo". М.: casa editrice LKI, 2015,. p. 21).

I monopoli capitalistici non sono casi particolari di versioni differenti del capitalismo, come il fenomeno di monopolismo è globale. Su questo sfondo, il ritorno alla concorrenza "libera", "pacifica" e "leale" è impossibile, come Lenin dimostra.

Il momento cruciale nella formazione del monopolismo è costituito dal ruolo nuovo del capitale bancario e dalla sua trasformazione da umile mezzo di operazioni finanziarie di entità economiche a quello di monopolisti onnipotenti. Non vi è nulla di strano nell'assimilazione del capitale industriale dentro quello finanziario, che oggi è entrata nella fase culminante (e che di fatto si è tramutata in un freno per lo sviluppo della società e del progresso tecnico): tale corso di eventi era già stato inequivocabilmente rivelato ed esposto da Lenin.

L'oligarchia finanziaria, determinatasi come risultato della concentrazione della produzione e del capitale, ha condotto al passaggio del capitalismo a un più elevato stadio socio-economico di sviluppo: Per l'imperialismo non è caratteristico il capitale industriale, ma quello finanziario, come specifica Lenin (p. 83). Ormai da tempo il mondo non cresce entro la cornice del vecchio capitalismo, anche se continua a sfruttare con efficacia le sue qualità positive.

La globalizzazione e il monopolismo finanziario

Fenomeni negativi del capitalismo globale sono rappresentati dai suoi tratti sistemici, e l'indignarsi per essi significa banalmente non capire il capitalismo reale. Come nota Lenin, finchè il capitalismo resta tale, l'eccedenza dei capitali non sarà impiegata a elevare il tenore di vita delle masse del rispettivo Paese, perché ciò importerebbe diminuzione dei profitti dei capitalisti, ma ad elevare tali profitti mediante l'esportazione all'estero, nei Paesi meno progrediti. (p. 57).

Lo squilibrio nello sviluppo delle nazioni pone le condizioni per la crescita dell'imperialismo delle più avanzate tra esse. Le unioni monopolistiche dei capitalisti, i cartelli, i consorzi, i trust, come dimostra Lenin, non hanno portato soltanto alla spartizione dei mercati interni, ma anche all'arrivo sui mercati esteri, su quello mondiale, la cui forma odierna è data dalle multinazionali e dai conflitti globali.

Il capitale finanziario ha iniziato ad esercitare un'influenza determinante sulle relazioni internazionali, stabilendo regole e "norme giuridiche" convenienti per sé stesso.

Lenin è attuale anche in questo: L'età più recente del capitalismo ci dimostra come tra le leghe capitalistiche si formino determinati rapporti sul terreno della spartizione economica del mondo, e, di pari passo con tale fenomeno, si formino anche tra le leghe politiche, cioè gli Stati, determinati rapporti sul terreno della spartizione territoriale del mondo, della lotta per le colonie, della "lotta per il territorio economico". (p. 69).

Comunque, i monopoli capitalistici si sono sempre storicamente sviluppati nell'ambito degli Stati nazionali, fatto che ha condotto inevitabilmente a trasformazioni ancora più fondamentali. L'originale sociologia di Aleksandr Zinov'ev rende a questo proposito un quadro maggiormente panoramico e profondo della rivoluzione sociale dell'umanità: è sorto il fenomeno della super-società o, per usare la definizione di Lenin, della sovrastruttura economica che cresce sulla base del capitale finanziario e della politica e idologia di questo.

Il monopolismo economico non può esistere al di fuori della cornice del monopolismo politico e geopolitico, che si genera dal colonialismo politico, e la cui ideologia è diventata l'egemonismo degli USA rispetto al mondo intero. Tuttavia la questione della spartizione definitiva del globo appare del tutto non decisa. E d'altra parte non potrebbe essere decisa esternamente alla dinamica della lotta dentro il capitale, o almeno i tentativi di una sua determinazione finale hanno richiesto nel ХХ secolo due guerre mondiali.

È possibile un capitalismo sovrano?

Le conclusioni di Lenin sul carattere e sulla logica interna dello sviluppo del capitalismo globale si rivelano attuali anche oggi. Comunque, la società russa contemporanea si sforza di cancellare gli avvertimenti di cento anni fa, perché il capitalismo è stato troppo seducente anche per l'élite tardo sovietica.

La tentazione capitalistica possedeva una configurazione accattivante e ben rifinita: l'imperialismo sotto forma di capitalismo finanziario globale genera il parassitismo e provoca il sorgere di entità statali che vivono di rendita. La creazione di uno Stato di tipo parassitario e la rendita sulle materie prima sono diventate l'obiettivo primario dei Paesi post-sovietici, aventi come modello gli Stati-reddituari del mondo occidentale.

La contraddizione principale della Russia post-sovietica consiste in questo: la classe oligarchica russa dei ricchi passa inevitabilmente dalla parte dell'imperialismo, perché soltanto con questa prerogativa essa si può storicamente riprodurre. Tuttavia, la forma di vita parassitaria e la dipendenza dal capitalismo globale rendono l'imperialismo periferico (e la Russia è sempre stata una periferia del capitalismo occidentale) estremamente debole e vulnerabile verso gli Stati-usurai.

Come qualunque monopolio, l'imperialismo genera una propensione al decadimento e alla stagnazione, ed è da questo che Lenin trae la tesi sul declino del capitalismo: tali tendenze si sono riscontrate pienamente anche nel concetto di "superpotenza energetica" dei prosperi anni duemila.

La classe politica russa continua a cullarsi nell'illusione che tornando sul sentiero dell'evoluzione sociale di tipo occidentale (nel capitalismo) possa concorrere liberamente e alla pari con il capitale finanziario dell'Ovest. Del carattere monopolistico del capitalismo globale, su cui Lenin aveva ammonito, non è stata presa nè comprensione nè consapevolezza da parte del capitalismo russo. Il capitalismo sovrano, il cui modello ideale si intravede nella Russia prerivoluzionaria, è impossibile nelle condizioni di un mondo in cambiamento: e infatti la Russia imperiale fallì proprio per quegli stessi motivi.